Coronavirus Covid-19.PAPI E BEATI - PAPA GIOVANNI PAOLO II - LA GIOVINEZZALA SOLIDARIETÀ OPERAIAOgni mese gli operai ricevevano la «tessera» per le sigarette, per un litro di vodka, per la marmellata, per qualche chilogrammo di pane nero, per qualche rimasuglio di carne, e anche un supplemento di provviste che spettava solo agli «Schwerarbeiter», gli addetti ai lavori pesanti, perché il «Solvay» era tenuto in molta considerazione dal Reich. Karol Wojtyla attirava l'attenzione per la sua calma e per la sua gentilezza: era riservato nel parlare e tranquillo, ma i segni della fatica si facevano sempre più marcati sulla sua faccia. Dimagrito, vestito di traliccio, con gli zoccoli ai piedi, sembrava un altro, e volentieri, assieme con gli amici, si accoccolava sul trenino che faceva la spola tra Zakrzówek e Borek per portare la zuppa ai lavoratori. Una volta era così stanco che, tornando dal lavoro, svenne per strada. Però, in seguito, ormai divenuto Metropolita di Cracovia, definì quel periodo duro ed estenuante, privo di qualsiasi speranza, «la migliore scuola di vita». Sempre ricordo quegli anni - diceva - con commozione e con grande riconoscenza per tutta quella gente buona che con me (sapevano che ero studente) era sempre generosa. Quelle brave persone mi dicevano così: «Senta lei, ha già fatto quello che doveva, prenda adesso il suo libro». E quando veniva il turno di notte dicevano: «Senta, lei ha già lavorato abbastanza; dorma adesso un po' e noi staremo a sorvegliare». E se c'era bisogno di rimanere per il secondo o per il terzo turno, mi portavano il loro pezzo di pane e mi dicevano: «Lei deve rimanere ancora qui; deve mangiare per resistere». Tra uomini di quel genere, tra gente di così buona volontà, nel cerchio di solidarietà umana così tipica in quei tempi di occupazione nazista, lo «studentino» solo in apparenza poteva sembrare rassegnato, sottomesso al destino; durante la «migliore scuola di vita» imparava non soltanto che cosa fosse la fatica fisica, ma anche a conoscere quell'ambiente sociale, e accumulava nuove preziose esperienze.LA SANTITÀ DEL LAVOROTra tante poesie scritte da Karol Wojtyla (pubblicate sulla stampa cattolica sotto lo pseudonimo di Andrzej Jawien, oppure di Stanislaw Andrzej Gruda) ne troviamo una intitolata «La cava di pietra». Questo poemetto (la forma usata più spesso dal poeta) senz'altro si riferisce ai ricordi della «Solvay», e testimonia che là, nel cupo paesaggio fatto di pietra e di fatica umana, si evolveva una intensa vita spirituale. Il lavoro, secondo il poeta, viene trasfigurato dal pensiero che lo unisce al Creatore, e così esso stesso diventa solenne e indipendente, cancellando quasi le catene di schiavitù che lo hanno condannato. Ascolta, il ritmo uguale dei martelli, così noto, io lo proietto negli uomini per saggiare la forza d'ogni colpo. Ascolta, una scarica elettrica taglia il fiume di pietra ed in me cresce il pensiero, di giorno in giorno: che tutta la grandezza del lavoro è dentro l'uomo. [...] Non temere. Le azioni umane hanno le rive spaziose, non puoi costringerle a lungo dentro un alveo ristretto. Non temere. Nei secoli durano le umane azioni in Colui al quale guardi nel ritmo di questi martelli. E chi è il soggetto di queste azioni, chi è quell'uomo semplice quasi soggiogato dal lavoro fino a strapparsi le vene; chi sono quegli «uomini splendidi, senza formalità né maniere» che brulicano sul fondo di una madia di pietra? Ecco che cosa risponde l'Autore: Non solamente le mani calano giù col peso del martello, non solamente il torso si tende e i muscoli disegnano la loro forma, ma attraverso il lavoro passano i suoi pensieri più intensi per intrecciarsi in rughe sulla fronte, per congiungersi in alto, sopra il capo, nell'arco scuro di braccia e di vene. Quando così, per un attimo, divenne lo spaccato d'un edificio gotico che un filo a piombo traversa nascendo dal pensiero e dagli occhi, egli non è solamente un profilo, non è solamente una figura che si staglia tra la pietra e Dio - condannata alla grandezza e all'errore! In tutte le cose, allora, anche nella più insipida manifestazione della sua esistenza, l'uomo non cessa di essere una realtà particolare, ragionevole, legata, per la stessa entità dell'esistenza, a Dio. E basta che l'uomo non dimentichi la sua dimensione trascendentale ed il suo destino, per essere immune dalla corruzione della bestialità. Un vero uomo è una somma di pensieri e di sentimenti dignitosi, un monumento della loro irripetibilità, come un edificio gotico, quell'edificio di cui parla il poeta Wojtyla. Il poema si chiude con il commovente elogio degli uomini visti come una comunità, e con un ricordo elegiaco del vecchio compagno morto in un incidente di lavoro. «La cava di pietra» è un poema chiaramente personalistico intriso di filosofia del lavoro, o meglio di teologia del lavoro! Quando fu scritto (1956), che cosa voleva essere quel poema? Una semplice reminiscenza di Zakrzówek; di quei giorni inverosimili, quando si portava la miccia e la dinamite e il paiuolo con la sboba di patate; oppure una riflessione di un periodo già trascorso, di tempi e di circostanze ormai diverse? È difficile dirlo. Ma le vicissitudini del periodo nazista testimoniano che il giovane Karol si difendeva con tutta la forza dai «punti vuoti della pietra» («... nelle pietre ci sono dei vuoti, ed è meglio non trovarli!..»), si difendeva dalla schiavitù, dall'annullamento spirituale quando il tormento, l'ingiustizia e l'umiliazione sembravano scacciare Dio e privare gli uomini della Sua grande presenza che arricchisce. Si difendeva non soltanto dalla cava della «Solvay», o dalla caldaia, o dal reparto della produzione e cristallizzazione della soda caustica.PAPA GIOVANNI PAOLO II LA GIOVINEZZA Parte Inizio I II III IV V VI VII VIII IX X XI XII XIII XIV XV XVI XVII |
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